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Il marketing di Better Call Saul: 5 lezioni di copywriting che nessun corso ti insegnerà

Ci sono serie TV che si guardano per svagarsi, e altre che, senza accorgertene, ti insegnano più di un master da tremila euro.
Better Call Saul appartiene alla seconda categoria.

Nata come prequel di Breaking Bad, questa serie racconta la lenta metamorfosi di Jimmy McGill, un avvocato squattrinato e pieno di buone intenzioni, nel più spregiudicato e geniale “avvocato pubblicitario” mai apparso su uno schermo: Saul Goodman.

Ora, tu potresti pensare: “Ok, ma che c’entra un avvocato truffaldino con il mio lavoro da copywriter, coach o freelance?
Beh, tutto.

Perché Jimmy, prima ancora di diventare Saul, dimostra di avere una sensibilità per il pubblico e una visione del marketing che molti professionisti non avranno mai.

Ogni suo gesto, spot, discorso o improvvisazione racconta come si comunica davvero quando si capiscono le persone.

E allora sì, questo articolo è per chi vuole imparare a vendere con umanità, astuzia e un pizzico di cinema.

Perché “Better Call Saul” parla anche di te

C’è una scena, in particolare, che sintetizza tutto.

Jimmy deve convincere un gruppo di anziani a partecipare a una causa legale contro un colosso delle case di riposo, la Sandpiper.

Lo fa salendo su un pullman, improvvisando un discorso di pochi minuti — e centrando in pieno l’obiettivo.

Niente tecnicismi, niente paroloni, niente slide.

Solo empatia, linguaggio semplice e storytelling.

Gli anziani lo ascoltano, si riconoscono, si fidano e decidono di agire.

In cinque minuti, Jimmy fa quello che tante campagne aziendali non riescono a fare in cinque mesi: crea connessione e vende.

Ecco perché Better Call Saul non è solo intrattenimento: è una guida pratica al marketing.

Jimmy McGill: l’anti-marketer che batte i marketer

All’inizio della serie, Jimmy è tutto tranne che un vincente.

Lavora nell sgabuzzino di un centro estetico cinese, litiga con i fratelli, perde cause e dignità a giorni alterni.

Ma, nonostante tutto, osserva. Ascolta. Capisce le persone.

E lo fa con un’arma che ogni copywriter dovrebbe sviluppare: la curiosità.

Jimmy non pensa in termini di “target”, “segmenti di mercato” o “funnel di conversione”.

Lui pensa in termini di esseri umani.

Sa che, per convincere qualcuno, devi prima entrare nel suo mondo — e magari portargli una tazza di caffè.

“It’s all good, man”: il brand perfetto nasce da una battuta

Il nome “Saul Goodman” non è casuale. Nasce come battuta: “It’s all good, man.”

Tutto va bene, amico.

È ironico, familiare, rassicurante.
In tre parole comunica il suo tono, il suo posizionamento e la sua promessa:

“Non sarò il più corretto, ma risolverò i tuoi problemi.”

Ecco il primo insegnamento di branding: un nome efficace non è quello che piace a te, ma quello che funziona per chi ti ascolta.

Saul non sceglie un nome “da studio legale prestigioso”.

Sceglie quello che resta in mente e trasmette un’identità.

Il suo brand, in sostanza, è la versione legale di un jingle pubblicitario.

Lezione #1 – Parla la lingua del tuo pubblico (e non del tuo ego)

La scena del pullman è un capolavoro di comunicazione.
Jimmy si trova di fronte a un gruppo di anziani — persone diffidenti, poco abituate al linguaggio legale e con mille pensieri in testa.

Cosa fa un avvocato medio in quella situazione?
Tira fuori termini come “azione collettiva”, “deposito legale”, “parte attrice”.

Cosa fa Jimmy?

  • Racconta una storia.
  • Parla come loro.
  • Li guarda negli occhi.

Non parla di “diritti violati”, ma di “soldi che vi hanno rubato sotto il naso”.

Non cita codici, ma emozioni.

E in quel momento diventa non solo un avvocato, ma un alleato.

Questo è copywriting emozionale allo stato puro.

Chi scrive per vendere non deve sembrare intelligente: deve farsi capire.

Molti professionisti, per paura di sembrare “poco esperti”, si nascondono dietro un linguaggio tecnico.

Ma il paradosso è che così perdono credibilità.

Un cliente non compra da chi lo confonde, compra da chi gli semplifica la vita.

👉 Il test perfetto? Spiega la tua offerta a una persona che non lavora nel tuo settore.

Se capisce tutto al primo colpo, il tuo copy funziona.

Se ti chiede “eh?”, devi riscrivere.

Lezione #2 – Il tempismo è tutto: dire la cosa giusta nel momento giusto

Quando Jimmy propone di fare uno spot televisivo per gli anziani, non sceglie a caso l’orario.

Sa che ogni giorno, dalle 15:00 alle 16:00, tutti guardano La Signora in Giallo.

È lì che piazza il suo messaggio.

In pratica, ha fatto un microtargeting televisivo ante litteram.

Non ha sprecato budget su spot nazionali.

Ha comprato un singolo spazio locale, nella fascia più seguita dal suo pubblico.

E boom: centinaia di chiamate.

Questa scena è una masterclass di media planning.

Il messaggio giusto non basta, se non lo metti nel posto giusto e al momento giusto.

Puoi scrivere il copy più brillante del mondo, ma se lo pubblichi su LinkedIn alle 2 del mattino o su Instagram parlando come in un manuale universitario, non lo vedrà — e non lo capirà — nessuno.

Jimmy sa dove guardano i suoi clienti, quando sono ricettivi, in che tono parlare.

E fa esattamente quello che ogni marketer dovrebbe fare: infilarsi nelle abitudini del suo target.

Target + contesto = comunicazione vincente

Il suo spot è efficace perché unisce due elementi fondamentali:

  1. Rilevanza: parla di un problema che i destinatari stanno vivendo.
  2. Tempismo: lo fa mentre stanno guardando qualcosa che amano.

Vuoi sapere perché tante campagne pubblicitarie non funzionano?
Perché il messaggio arriva fuori contesto.
È come urlare “sconto del 20%” a chi sta leggendo un necrologio.

Il marketing efficace non interrompe: entra in sintonia.

Lezione #3 – Design bello non significa design utile

Quando lo studio legale Davis & Main produce il proprio spot, è esteticamente impeccabile: luci soffuse, grafiche animate, voce fuori campo impostata.

Ma non genera nemmeno una chiamata.

Perché? Perché è vuoto.
È marketing fatto per compiacere chi lo crea, non chi lo guarda.

Ricordi quella scena in cui l’assistente dice orgoglioso:

“Hanno lavorato molto per far muovere bene le linee.”

Ecco, questo è il simbolo del marketing corporate: tanto fumo, zero empatia.

Si parla di “vortex blu”, di “estetica minimalista”, ma nessuno pensa al cliente finale.

È il corrispettivo moderno di certe agenzie che consegnano loghi bellissimi ma incomprensibili, o campagne “artistiche” che nessuno clicca.

Copy e grafica: un matrimonio con regole precise

Il design è importantissimo, ma è il copy che deve guidarlo.

La grafica attrae l’occhio, il copy conquista la mente.

Un’immagine può incuriosire, ma è la parola che convince.

E se la grafica non amplifica il messaggio, lo ostacola.

Vuoi un esempio pratico?

Una landing page che converte non è quella più “bella”, ma quella in cui ogni elemento visivo sostiene la lettura: frecce, spazi, colori, font, tutto guida verso la CTA.

Non serve “muovere bene le linee”. Serve muovere le persone.

Lezione #4 – Le emozioni muovono i clienti (non le specifiche tecniche)

Jimmy realizza il suo spot con pochi soldi, ma un’intuizione geniale: far parlare una delle anziane.

Una donna in sedia a dondolo, che racconta la sua storia con voce tremante e una lacrima sul volto.

In quel momento, non sta vendendo un servizio legale.

Sta vendendo una possibilità di giustizia.

E il pubblico ci casca. Perché si riconosce.

Ogni anziano che guarda quella scena pensa: potrebbe essere successo anche a me.

Nessuna animazione, nessun effetto. Solo emozione pura.

E i risultati? 103 telefonate in un giorno.

Oltre 200 nella settimana successiva.

Tutto grazie a una storia vera raccontata bene.

Questo è storytelling persuasivo: non serve inventare, serve collegare i puntini emotivi tra il problema e la soluzione.

3 leve emotive da poter utilizzare

Le emozioni funzionano quando toccano bisogni reali come:

  • Sicurezza (non voglio che mi rubino i risparmi)
  • Appartenenza (voglio fidarmi di chi mi capisce)
  • Giustizia (voglio che chi sbaglia paghi)

Ogni messaggio di marketing, in fondo, deve rispondere a uno di questi bisogni.

Lezione #5 – Se non puoi misurarlo, non è marketing

Uno dei momenti più belli arriva dopo lo spot.

Jimmy riceve una pioggia di telefonate. È la prova empirica che la sua intuizione funziona.

Eppure, i suoi capi lo rimproverano.

Perché?

Perché non era “in linea con l’immagine dello studio”.

Un classico. Quante aziende preferiscono un post elegante e inutile a una campagna “popolare” ma efficace? Troppe.

Per i professionisti e le PMI italiane, le metriche non mentono.

Jimmy ha i dati: telefonate, contatti, azioni.

I colleghi hanno solo la reputazione.

Ecco il punto: se non puoi misurare un risultato, stai facendo branding, non marketing.

E va bene così, purché tu lo sappia.

Ma se vuoi vendere, devi misurare.

Tutto. Sempre.

Bonus – Quando il brand diventa un freno

Lo studio legale di Jimmy rappresenta l’archetipo della grande azienda: attenta al decoro, ma cieca all’efficacia.

Si preoccupa di “come apparirà” piuttosto che di “cosa otterrà”.

Ed è un errore che tanti professionisti commettono.

Vogliono sembrare perfetti, ma dimenticano che le persone comprano connessione, non perfezione.

Il tuo brand deve ispirare fiducia, sempre.

Cosa ci insegna davvero Saul Goodman sul copywriting

Jimmy McGill è il simbolo del marketer che osa.

Non segue le regole, le osserva, le capisce — e poi le piega al suo obiettivo.

È empatico, spregiudicato e autentico.

E soprattutto, non ha paura di sporcarsi le mani per capire davvero il suo pubblico.

Come copywriter freelance, il mio lavoro è esattamente questo: trasformare le intuizioni umane in strategie che funzionano.

E aiutare le aziende (o i professionisti come te) a comunicare per avere più contatti, appuntamenti e clienti.

Perché nel marketing, come nella vita, vince chi sa ascoltare prima di parlare.

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Giorgio Gioacchini
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Davide Rocca
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